Descrizione
E’ dedicato alla parola ‘Clandestina’ il quarto (e ultimo del 2008) numero della rivista Marea, che come di consueto pubblica i migliori racconti, (nove selezionati tra quelli pervenuti, i nomi delle vincitrici su www.mareaonline.it), che sono stati inviati al trimestrale femminista.
Lanciato nel marzo 2008 il Nono Concorso letterario esce ora nella pubblicazione proprio nel momento in cui due agenzie di stampa italiane, Dire e Redattore sociale, che un anno fa si sono unite per mettere insieme un notiziario sociale unico in Italia (DiReS), hanno deciso di mettere al bando la parola clandestino, che dal mese di ottobre 2008 non comparirà più nei notiziari. Lo stesso avverrà con la parola extracomunitario.
Dire e Redattore sociale, nel motivare la loro scelta, citano la campagna lanciata da Giornalisti contro il razzismo, una rete internazionale di operatori e operatrici dell’informazione, che ha raccolto oltre 500 adesioni di testate giornalistiche per un primo appello contro la discriminazione nei media del popolo rom, e oltre 120 adesioni alla campagna che chiede ai singoli giornalisti di non usare più nel loro lavoro la parola clandestino (e non solo quella).
La scelta delle due agenzie è un segnale importante di responsabilizzazione.
Un’informazione corretta e rispettosa, a partire dalla parole utilizzate giorno per giorno, è indispensabile per contrastare ogni fenomeno di xenofobia e razzismo.
Ma non si tratta, a nostro parere, solo di correttezza: stiamo parlando di aderire o meno ad una scelta che si rifiuta, o accetta, di inglobare le persone in stereotipi, che non differenzia le persone dai popoli, i governi dai governati, le responsabilità individuali da quelle collettive.
Vi viene in mente qualcosa? I rom rubano, gli albanesi sono violenti, i negri non lavorano, gli slavi bevono, i siciliani sono mafiosi, i cinesi sono infidi, tutte le donne sono puttane..
E, aggiungiamo noi, una informazione attenta alle parole e al loro effetto su chi legge è un dovere per contrastare quella pervasiva e sottovalutata forma di razzismo che è riservata ad oltre la metà del genere umano, a qualunque latitudine e in qualunque cultura: il sessismo.
Esiste uno specifico di genere nella condizione della clandestina, o è forse un inutile esercizio femminista quello di ricercare anche in questo caso una connotazione che attiene al sesso?
Ragioniamo: le clandestine (ovvero le donne non in possesso dei regolari permessi di soggiorno nei paesi ospiti) sono numericamente meno, in percentuale, degli uomini sul territorio.
Ma le condizioni di una donna straniera in terra ostile e in condizione di non regolarità sono ulteriormente aggravate proprio dall’essere femmina: se hanno figli sono ostaggio della disperazione per l’impossibilità di accudire la prole, spesso si trasformano in pedine nella mani sia degli uomini connazionali sia di quelli stranieri, e se non riescono a regolarizzare la loro condizione c’è solo una scelta che si offre loro: la strada e la vendita del sesso.
Non lavoratrici del sesso, sex workers come ora si suole dire attraverso una ambigua legittimazione di presunte scelte legate al commercio del corpo, ma schiave del sesso, prostituite a forza con una percentuale altissima di violenza, malattia e morte.
Come è evidente esiste un tratto drammatico e specifico che determina la differenza tra la clandestina e il clandestino, e sono spesso in poche le situazioni in cui la si racconta.
Ecco, quindi, perchè in quella calda e ancora gioiosa giornata di giovedì 19 luglio 2001, nel corteo dedicato alle persone migranti che aveva chiuso i lavori dei forum organizzati a Genova dal Genova Social Forum eccheggiava, accanto allo slogan siamo tutti clandestini, anche quello siamo tutte clandestine.
Non erano in molti a gridarlo, ma in alcune c’eravamo.
E non solo perchè nella letteratura sono state spesso le donne a sentirli clandestine anche al di fuori del contesto politico e sociale del quale abbiamo fin qui dissertato: non è forse vero che in molte, da Colette a Dacia Maraini, da Anna Banti a Grazia Deledda le scrittrici hanno celebrato nei secoli le dolenti passioni degli amori negati e clandestini nei quali spesso le donne sono state attrici senza ribalta, a causa dell’ ipocrisia e del perbenismo?
Anche perchè alcune parole sono il sintomo dello stato dell’arte del nostro livello culturale, della nostra visione della società e della collettività: perchè con esse, pronunciandole e producendo immagini e senso comune, noi costruiamo consenso, luogo comune, costruiamo accoglienza o discriminazione.
Allora: addio clandestina, benvenuta ospite e, se vorrai, cittadina.