Descrizione
Merli definisce i suoi oli “finestre sul mondo”. Quello reale e persino quello fantastico. Eppure, l’osservatore attento coglie il denominatore che attraversa l’intera produzione: il movimento. Nulla è statico persino quando è fermo. Si sente battere la vita che pulsa di luce, ovunque. È il cambiamento che ci abita e che restituisce il tempo alla nostra sfera di appartenenza come un gravame e insieme come il luminoso divenire del nostro corpomente che ci rende sempre più compiuti o definitivamente dispersi.
Il tempo dice la verità su di noi, insomma. Il tempo è la verità. Da lì proviene questa sensazione di coglimento del vero che ci ferisce quando osserviamo le opere in divenire di Merli. Questa è la sua cifra stilistica. Tutto è attraversato da questo rischio che è il divenire e che racconta di noi. Racconta me e te e gli esseri viventi con i quali abitiamo il mondo e racconta anche gli enti che pur non esistendo sussistono.
Per tal motivo, Merli avverte la necessità di narrarli tutti, per sé stesso e per noi. Per quel con che parla della nostra gettatezza. Per chi sarà sempre spectator e spectrum, spettatore che avverte continuamente lo scacco della verità e spettro che sfugge a una narrazione lineare.
Un’impresa improba quella di Merli, ma è in gioco il viaggio per Itaca e dunque non può che restituirci la saggezza dell’apparente temerarietà.